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Vertice di Chicago: la NATO completa il dominio del mondo arabo

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Rick Rozoff, 18 aprile 2012

Il 17 aprile, re Abdullah II di Giordania ha visitato la sede di Bruxelles della North Atlantic Treaty Organization, ultimo atto di obbedienza verso il blocco militare da parte di coloro che Zbigniew Brzezinski, nel 1998, definiva, senza mezzi termini ma con sufficiente precisione, i vassalli e i tributari docili dell’occidente in Medio Oriente, Nord Africa, Europa orientale, Caucaso meridionale, Asia Centrale, Sud Asia, Asia orientale e Pacifico meridionale.

Il pellegrinaggio del monarca giordano è stato preceduto da quelli dei presidenti di Germania, Georgia e Moldavia, del primo ministro del Montenegro, del ministro degli esteri della Croazia e del ministro della difesa della Slovenia, il mese scorso. Alti funzionari di diverse nazioni come Israele, Mongolia, Arabia Saudita, Bahrain, Australia, Nuova Zelanda, Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Giappone, Sud Corea, Iraq, Armenia e Azerbaigian, hanno visitato regolarmente il quartier generale della NATO.

Nonostante le affermazioni secondo cui l’alleanza incarna “libertà individuali, democrazia, diritti umani e dello Stato di diritto”, i cosiddetti valori euro-atlantici o transatlantici hanno sempre mostrato una propensione per le forme elitarie e esclusive di governo nazionale, in particolare per la monarchia. La maggioranza dei membri fondatori della NATO – Belgio, Gran Bretagna, Canada, Danimarca, Lussemburgo, Paesi Bassi e Norvegia – preferisce le forme pre-repubblicane, pre-moderne, anche se un po’ attenuate, delle monarchie costituzionali. Quindi non sorprende che il re Abdullah e i suoi compari governanti ereditari in Marocco e nel Consiglio di Cooperazione del Golfo, si sentano di casa a Bruxelles.

Nel resoconto nel sito web della NATO della sua visita, il “Segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, ha lodato Sua Maestà Re Abdullah II di Giordania, per il prezioso partenariato per la sicurezza del suo paese, durante i colloqui presso la sede della NATO…” Rasmussen, fedele suddito della regina Margrethe II, è abituato ad inginocchiarsi davanti ai reali, e il coronato capo di Stato ha discusso del partenariato militare del Dialogo Mediterraneo della NATO, del programma di cooperazione bilaterale della Giordania con l’alleanza, del ruolo del Paese mediorientale nelle operazioni NATO nel mondo (la Giordania contribuisce con sue truppe alla guerra della NATO in Afghanistan) e del consolidamento delle sue partnership globali, che saranno deliberate in occasione del vertice del mese prossimo, a Chicago.

Nel comunicato stampa che descrive la visita, la NATO ha aggiunto, “la Giordania è un partner importante per la sicurezza, contribuendo alle missioni della NATO in Afghanistan, nei Balcani e, più recentemente, in Libia…” La Giordania era uno dei quattro paesi arabi presenti al vertice del 19 marzo a Parigi, con gli Stati Uniti e le principali potenze europee della NATO che annunciavano l’inizio dei sei mesi di campagna di bombardamenti contro la Libia. Gli altri tre erano Marocco, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Gli ultimi due sono membri dell’Iniziativa della Cooperazione di Istanbul della NATO, e congiuntamente hanno inviato 18 aerei da combattimento per l’attacco alla Libia, sia durante l’operazione Alba dell’Odissea dell’Africa Command degli Stati Uniti, che nella fase della guerra sotto l’operazione Unified Protector della NATO. A meno di due mesi dall’inizio del conflitto, è stato osservato che l’alleanza dei regni, emirati e sceiccati del Golfo Persico (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti), il Consiglio di Cooperazione del Golfo, aveva invitato solo le altre monarchie nel mondo arabo, Giordania e Marocco, ad unirvisi, anche se nessuno dei due paesi si trova nei pressi del Golfo. E’ questo blocco di monarchie ad essere il principale partner dell’Occidente nell’attuare il cambio di regime nel mondo arabo, dalla Libia alla Siria allo Yemen, e in futuro in Algeria, Libia, Iraq ed altre nazioni, se necessario.

Le otto monarchie sono tutti partner militari della NATO: Giordania e Marocco attraverso il Dialogo Mediterraneo, e Bahrain, Kuwait, Qatar ed Emirati Arabi Uniti con l’Iniziativa della Cooperazione di Istanbul, con l’Oman e l’Arabia Saudita in pratica membri, anche se non ancora formalmente, di quest’ultima. La Libia era l’unico paese del Nord Africa a non essere un membro del Dialogo Mediterraneo.

Poco dopo l’assassinio di Muammar Gheddafi lo scorso ottobre, l’ambasciatore statunitense presso la NATO, Ivo Daalder, aveva offerto il sostegno del blocco per modellare un nuovo esercito libico e, secondo l’Agence France-Presse, ha detto che “la Libia potrebbe rafforzare i suoi legami con l’alleanza transatlantica unendosi al dialogo mediterraneo della NATO, una partnership che comprende Marocco, Egitto, Tunisia, Algeria, Mauritania, Giordania e Israele.”

In una riunione dei ministri degli esteri della NATO, a Bruxelles, il 7-8 dicembre, il Segretario Generale Rasmussen ha applaudito all’esito della prima guerra africana della NATO e “diversi funzionari e portavoce della NATO hanno espresso interesse a che la Libia entri nel Dialogo Mediterraneo”, ha riferito il Tripoli Post.

Per quanto riguarda le trasformazioni nel mondo arabo negli ultimi quindici mesi, in relazione alla NATO, il risultato netto è che l’alleanza militare dominata dagli USA è pronta a un nuovo ingresso, la Libia, con la Siria obiettivo del prossimo. Il Libano è un’altra prospettiva per il Dialogo Mediterraneo, dopo Libia e Siria, che se si verificasse, permetterebbe di convertire tutto il bacino del Mediterraneo in un lago della NATO. Allo stesso modo, se l’Occidente e i suoi alleati monarchici arabi potranno organizzare l’instaurazione di regimi conformi in Iraq e Yemen (forse con pretendenti di case reali per completare il modello), la NATO potrà acquisire altre due coorti anche dall’Iniziativa della Cooperazione di Istanbul. L’alleanza identifica l’Iraq come uno stato partner e la NATO Training Mission-Iraq è stata determinante nella costruzione ex-novo delle nuove forze armate della nazione, addestrando tutto il corpo degli ufficiali della polizia del petrolio.

Per quanto riguarda i restanti paesi arabi, almeno dal 2005 alti funzionari statunitensi e della NATO hanno promosso il dispiegamento delle forze NATO in Palestina, nel caso di, o come pre-condizione, per un accordo di pace con Israele. Nell’Agosto scorso, l’agenzia palestinese Ma’an aveva riferito che “il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha detto, durante una visita al Congresso degli Stati Uniti, che la sicurezza del futuro Stato palestinese sarà consegnata alla NATO, sotto il comando degli Stati Uniti…”

Dal 2005 al 2007, la NATO ha inviato diverse migliaia di truppe dell’Unione africana nella regione del Darfur, nel Sudan occidentale, e in una colonna del Washington Post del 2005, l’attuale ambasciatrice degli USA alle Nazioni Unite, Susan Rice, aveva chiesto il dispiegamento di 12000-15000 truppe sotto il comando NATO, e due anni dopo aveva chiesto alla NATO di applicare una no-fly zone e di schierare la Forza di Reazione della NATO in Sudan. Due anni fa la NATO aveva trasportato in elicottero 2.500 soldati ugandesi e burundesi nella capitale somala Mogadiscio, per operazioni anti-insurrezionali. La NATO utilizza lo Stato autonomo somalo del Puntland come base per le operazioni nel Golfo di Aden e nel Mar Rosso della sua missione navale Ocean Shield. Gibuti è effettivamente un avamposto della NATO nel Corno d’Africa, con 2.000 truppe statunitensi e la sede della forza combinata multi-operativa del Corno d’Africa del Pentagono, 3.000 truppe francesi e, negli ultimi dieci anni, diverse centinaia di truppe britanniche, olandesi, tedesche e spagnole, vi sono di stanza.

Lo scorso maggio è stato annunciato che gli Emirati Arabi Uniti, che forniscono un contingente militare alla NATO in Afghanistan, oltre ad aver fornito aerei da guerra per la campagna di Libia, sarebbe diventato il primo stato arabo ad aprire un’ambasciata presso la sede della NATO. Alla suddetta riunione ministeriale della NATO dello scorso dicembre, oltre a rivelare che “i funzionari della NATO hanno detto che pensano che la Libia sia suscettibile di chiedere l’adesione al Dialogo Mediterraneo”, Gulf News, degli Emirati Arabi Uniti, ha riferito, “I ministri degli esteri della Nord Atlantic Treaty Organisation (NATO) hanno deciso di rafforzare i propri contatti e la cooperazione con i paesi arabi del Nord Africa e del Medio Oriente”. Il comunicato finale dell’incontro ha dichiarato: “significativi sviluppi politici hanno avuto luogo quest’anno in Nord Africa e del Medio Oriente. In questo contesto e in conformità con la nostra politica di partenariato, abbiamo convenuto di approfondire ulteriormente il dialogo politico e la cooperazione concreta con i membri del Dialogo Mediterraneo e l’Iniziativa della Cooperazione di Istanbul … Siamo pronti a prendere in considerazione, caso per caso, nuove richieste dai paesi di tali regioni, compresa la Libia, per il partenariato e la cooperazione con la NATO, tenendo conto del fatto che il Dialogo Mediterraneo e l’Iniziativa della Cooperazione di Istanbul sono quadri naturali per tali richieste.”

Al vertice del 2004 della NATO in Turchia, che ha creato l’omologa Iniziativa della Cooperazione di Istanbul per stringere alleanze militari con i vicini dell’Iran nel Golfo Persico, il blocco militare occidentale aveva anche aggiornato il Dialogo Mediterraneo, formatosi nel 1994, in un programma di piena collaborazione, vale a dire l’equivalente del Partenariato per la Pace utilizzato per preparare le dodici nazioni dell’Europa orientale all’adesione nella NATO nel 1999-2009. Due anni più tardi, il membro del Dialogo Mediterraneo Israele, è stata la prima nazione ad unirsi al programma di cooperazione bilaterale con la NATO, con l’Egitto che ha fatto seguito l’anno successivo, e la Giordania nel 2009. Il sito web della NATO attualmente elenca Mauritania, Marocco e Tunisia quali partner anche di quel programma.

Il 3 aprile la Segretaria di Stato Hillary Clinton ha pronunciato un discorso alla Conferenza del World Affairs Council 2012 della NATO a Norfolk, Virginia, dove si discuteva dei tre grandi temi da affrontare in occasione del vertice della NATO a Chicago, il 20-21 maggio. Oltre alla guerra in Afghanistan e all’impegno ad “aggiornare le capacità della NATO per la difesa del 21esimo secolo” – ha menzionato la sorveglianza aerea con i droni, la European Phased Adaptive Approach del sistema di intercettazione missilistica e il pattugliamento da parte degli aerei della NATO del Mar Baltico – ed ha sottolineato la necessità “di consolidare ed espandere le nostre partnership globali”. La natura di tali partnership nel mondo arabo è stata dimostrata la settimana prima del suo discorso, quando il Washington Post ha riferito della suo imminente visita in Arabia Saudita, con cui “la Segretaria di Stato Hillary Rodham Clinton … inaugurerà un dialogo strategico con le sei nazioni del Consiglio di Cooperazione del Golfo, da cui l’amministrazione si aspetta che alla fine porterà a un coordinamento con il sistema regionale di difesa missilistico creato dagli USA”, più tardi identificato come un prolungamento dell’US-NATO Phased Adaptive Approach.

La NATO e dei suoi alleati nel (ampliato) Consiglio di Cooperazione del Golfo, stanno invertendo 60 anni di indipendenza e di non-allineamento arabi, di pan-arabismo e di modelli repubblicani e socialisti dei paesi arabi in via di sviluppo, nel tentativo di subordinare i 350.000.000 di abitanti del mondo arabo alle loro agende regionali e globali.

FONTE:http://rickrozoff.wordpress.com/2012/04/18/chicago-summit-nato-to-complete-domination-of-arab-world/


Traduzione di Alessandro Lattanzio
http://sitoaurora.altervista.org/home.htm
http://aurorasito.wordpress.com


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